«Oppressione... memorie... captività...! A maraviglia! Dove diamine avete attinto questo frasario da carbonaro? Sapete che dovrei castigarvi severamente per tali fantasie spropositate?»
«Potete fare anche questo. Mi manca solamente la catena al piede: ordinatela».
«Non me lo permette l’interesse che sento per voi. Pur nondi-
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meno vorrei farvi deporre quella smania maledetta di ricuperare la libertà; su questo argomento sono assoluto, implacabile, inesorabile, né vi acconsentirò mai».
«Tentate invano di togliermi l’ultimo barlume di speranza. Ho riscritto alla Santa Sede».
«Lo so, lo so, ed io controscriverò sempre negativamente. Vogliate per altro confidarmi dove vorreste andarvene, uscita che foste di convento».
«In casa di mia madre. Ormai non ho bisogno di tutela, ma credo che nessuna donna possa custodire una giovine meglio della propria genitrice».
Nel pronunziare quest’ultime parole, gli occhi mi si gonfiarono di lagrime: mi era balenata alla mente la memoria di mio padre. Il cardinale proruppe in un riso mefistofelico, e disse:
«Pastocchie! Vorreste piuttosto uscire per ballare: in casa di vostra madre si danno feste di ballo a’ liberali; ma badi bene a quello che fa, altrimenti ci baderà la polizia!».
Quest’ultimo tratto esaurì la mia pazienza. Afferrato il lembo dello scapolare, «Con quest’abito abborrito da tutti» gli dissi, «avrei vergogna di farmi vedere, ed ancor più di prendere parte ad una festa. Non chiedo la liberazione, altro che per riconquistare un bene supremo, al cui godimento ho rinunziato per inesperienza, per debolezza, per forza d’avverso destino».
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Santa Sede
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