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XVIIIIl 1848
Fin dagli ultimi mesi dell’anno 1847 l’orizzonte d’Italia prendeva un aspetto minaccioso, che presagiva imminente ed inevitabile una crisi.
Le genti della nostra penisola trovavansi assorte in un’aspettazione, poco diversa da quella de’ Millenari; pareva un secolo ogni giorno che passava; la sera subentrava lo sconforto: ad ogni nuovo sole che spuntava, le speranze rinascevano. Benché dal mondo de’ vivi segregata, pure io m’informava di tutto dai parenti, ed il menomo sintomo di mutazione, il menomo movimento popolare mi faceva balzare il cuore.
I conventi di Napoli sono stati d’ogni tempo, e sono tuttavia, i più accaniti propugnatori del dispotismo. Sì per insinuazione de’ superiori, che per impulso spontaneo, le monache di San Gregorio solevano far delle preci pel re d’allora, preci in cui fra le altre si domandava a Dio lo sterminio de’ malvagi, vale a dire de’ liberali. Con qual profondo senso di riprovazione era io costretta ad assistervi! Contro tali preghiere lo spirito mio protestava col più energico disprezzo, ed innalzava taciti voti all’Onnipossente per la caduta della tirannide e pel trionfo della nazione alla quale io mi gloriava di appartenere.
Non isfuggì alle suore la diversità del mio contegno; laonde misero in voce esser io rivoluzionaria, aggregata a segrete società, settaria, eretica e che so io: talché per colpa mia trovavasi il monastero sull’orlo del precipizio. Non diedi retta alle loro lamentazioni, e deplorai la crassa ignoranza in che vivevano; anzi dal dì che Ferdinando II giurò la Costituzione e proclamata fu la libertà di stampa, comprai francamente i giornali dell’opposizione, e li lessi ad alta voce sotto le volte del cenobio, da tanti secoli sorde agli accenti della libertà. Al clamoroso risvegliarsi de’ popoli, al tremendo ruggito
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