Le berghinelle del mercato e d’un altro quartiere vicino, noto per disonesta riputazione, si recarono vestite di bianco, inghirlandate, avvinazzate, alla piazza della reggia, sì per congratularsi col despota della riportata vittoria, sì per fare baccano coi soldati che incontravano per la via.
Intanto il mio stato non era immune da ogni pericolo: tutto lasciava presagire che sarei stata pur io compresa nel libro nero della polizia. Delatori e testimoni non mancavano fra i tanti membri della comunità.
In questo frangente volle Iddio tendermi la mano. Un cappuccino, d’aspetto venerando, con lunga e canuta barba, mi fece scendere nel parlatorio. Proveniente da Roma, dicevasi incaricato da Sua Beatitudine di consegnarmi un Breve d’uscita, e in pari tempo d’esortarmi alla pazienza, essendo stata reputata equivoca dalla Santa Sede la mia condizione monastica.
Questo Breve non era precisamente qual io me lo aspettava. La Santa Sede posponeva alle convenienze gran parte della giustizia. Per non recare amarezza all’arcivescovo di Napoli, il quale aveva sempre con energia resistito alle mie istanze, adducendo lo specioso pretesto, che mia madre riceveva in casa persone sospette d’ateismo e di liberalismo, il Breve teneva il piede, come suol dirsi, in due staffe: contentava da una parte me, accordandomi l’uscita di San Gregorio, ed appagava dall’altra parte il cardinale, ordinando che io fossi passata non nella casa materna, ma in un conservatorio di mio proprio gradimento; ben inteso però ch’io potrei assentarmene ogni giorno, purché vi facessi ritorno la sera.
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