Del resto, formale essendo quella volta l’ordine, era preclusa al cardinale la via d’intervenire col suo veto.
Sebbene appagata per metà, vidi nondimeno che recalcitrarvi sarebbe stata follia. A conseguire la somma della libertà, faceva d’uopo adoperarsi attivamente; né io ignorava il proverbio, che: per dimenar la pasta, il pan s’affina.
Era fuor d’ogni dubbio, che la faccia degli affari mutavasi: io cominciava a scoprir terra. Quel Breve del papa giungeva a proposito. Ora, facendo mio pro del fatto, che un messo ad hoc era stato mandato dal pontefice per parlare meco, senza l’intermediario di superiori autorità, diedi abilmente a credere, ch’io fossi in Roma aiutata da’ santi, più di quello che difatti non era. Per tale mezzo
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ottenni di render vane le insidiose intenzioni di quanti disponevansi a suscitarmi novelli intoppi.
Tratta copia autentica del rescritto, ne feci parte al cardinale. Egli consigliossi con diversi canonici per vedere se poteva impedire ancora l’usata mia con qualche sofisma; ma l’ordine era esplicito, né ammetteva cavillo di sorta.
Qualche giorno appresso venne a trovarmi. Non l’ho veduto mai portare sì alteramente la testa sul busto: indizio, presso i gesuiti, di disfatta.
Dopo essersi lagnato a lungo della violenta guerra che gli faceva mia madre, mi disse:
«Dunque volete uscire ad ogni costo?»
«Voglio uscire» risposi, «ed uscirò».
«In tal caso» riprese, «vi piglierete pensiero di cercarvi da voi stessa un qualche conservatorio...»
«Non ve ne incaricate, Eminenza» dissi io, troncandogli in bocca la parola: «Quest’affare spetta esclusivamente a me».
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Breve Roma Eminenza
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