«E nondimeno, è tanto buona!»
Alla vista d’un ritratto così spaventevole, chi avrebbe accolto in sua casa l’originale? Mi rivolsi perfino a’ ritiri d’infima classe: trovai tutte le porte chiuse.
Avvedutami della nuova macchinazione, sgomenta della piega che prendeva la faccenda, scrissi al cardinale una lettera breve, ma succosa, onde annunziargli, che se non avesse egli sufficiente forza da mandare ad effetto gli ordini del pontefice, io avrei reclamato a Roma con altrettanta energia.
Il cardinale si portò immantinente al Conservatorio di Costantinopoli, e diede ordine che senza indugio me ne fossero aperte le porte. E perché quelle suore adducevano per scusa di non aver nessuna stanza disponibile:
«Sotterfugi!» diss’egli: «non importa; qualcheduna di voi cederà la sua stanza alla Caracciolo».
Molte camere si trovarono all’istante a mia disposizione; senonché, prima d’esservi ammessa, dovetti sborsare ducati 40 di entratura. Allora, Maria Giuseppa, lieta pur essa di lasciare quel luogo, fece meco gli apparecchi della partenza.
Le monache di San Gregorio, non sapendo come altrimenti mostrarmi il loro dispetto, tanto dissero e tanto fecero, che per mezzo del cardinale mi proibirono di portar meco l’argenteria e gli altri oggetti di valore, che, secondo l’usanza di quella comunità, ereditati avevo dalle mie zie alla loro morte.
La mattina del 28 gennaio 1849 due carrozze si fermarono fuori della porteria: in una stava mia madre, nell’altra il vicario.
Alquanto commossa mi sentii nell’atto di stringere la destra alle poche monache, che mi compativano: erano quasi tutte vecchie e d’ingenua pietà; e quando chiesi loro perdono delle molestie che poteva aver loro cagionate involontariamente, si commossero fino alle lagrime.
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