Che più? le note, che, nei momenti della consacrazione e dell’elevazione, scioglieva l’organo, m’inondarono d’ineffabile dolcezza, mi commossero, m’ingentilirono; né uscii mai dalla messa meglio disposta alla carità, di quanto lo fui quando mi venne fatto di respirare le aure stesse, onde il cristianesimo trae vita e vigore.
Migliore ancora sarebbe stata la mia nuova condizione, senza due cose che mi recavano molestia: la curiosità pubblica che, fer-
[192]
mata dal mio abito di monaca, mi andava esaminando come un animale di serraglio; e la combinazione spiacevole che nel detto conservatorio non faceva da portinaia una monaca consta, ma invece una conversa feroce, e poco meno che antropofaga.
Costei sì che potuto avrebbe realmente figurare in un serraglio per le sue forme, partecipanti ad un tempo dell’animale umano e dell’orso di Siberia. Fronte non più larga di due dita, sopracciglia eternamente increspate, occhi piccini ed iniettati di sangue, naso schiacciato, bocca armata di formidabili zanne che spuntavano fuori dalle labbra, e voce ringhiosa. Quando guardava, minacciava; quando parlava, mordeva. La porta chiudevasi al tramontare. Cinque minuti di ritardo la mettevano in gran furore: digrignava i denti, stralunava gli occhi, e borbottava queste o simili parole:
«Malannaggio al cardinale pel regalo fatto al conservatorio! Una monaca che tutti i giorni vuole uscire!».
Verso la fine del seguente ottobre il cardinale mandò all’abbadessa l’ordine di proibirmi assolutamente l’uscita.
| |
Siberia
|