Tal era il quadro che le faceva una delle suore dell’opposizione, la quale, propensa allo scherno, vedendola entrare, diceva: «Ecco l’antipapa!».
Preceduta nell’animo di questa donna dalle informazioni date sul conto mio dalla consorteria di San Gregorio, poteva io dimorare nel conservatorio, senza divenire l’oggetto del più vigile spionaggio? La badessa, accortasi per tempo della mia simpatia per le suore della parte liberale, mi ritirò di repente la sua grazia, e perfino la cortesia del saluto. Più d’una sera, essendomi da lei portata, per darle, secondo l’usanza, la buona notte, non mi degnò di rice-
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vermi ed io per conseguenza non mi diedi più pensiero di andarvi. Anche le monache tutte del suo partito non mi salutarono più.
Benché estranea a quella comunità, pure mi conformava alle loro pratiche, e prendeva vivo interesse alle cose loro. Questa mia benevolenza e spontaneità fu male interpretata dalla superiora, la quale, dimentica ch’io era claustrale ed ella semplice oblata, pretese di comandarmi a bacchetta, non altrimenti che se io fossi stata un’impubere educanda.
Vid’ella un giorno sul mio tavolino un paio di volumi delle Storie del Cantù. Li prese in mano, ne volse alcuni fogli intonsi ancora, poi, riponendoli: «Scommetto» disse, «che questi son libri di politica, e per conseguenza scomunicati! E qui, signora mia, colgo l’opportunità per dichiararvi, che scritti messi all’Indice nel mio conservatorio non c’entrano».
Un’altra volta un servitore della mia famiglia chiese di me, per consegnarmi certi borzacchini da parte della sorella.
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