E poco dopo io lo provai.
Chiusa in convento fin dall’età di diciott’anni, aveva troncato a mezzo i miei studi. Proibiti essendo nel chiostro e maestri e libri, non aveva potuto coltivare le lettere che da me sola, e di soppiatto. Ora la mia condizione era cambiata; ed io avendo, come noi tutti napoletani, passione per la musica, mi comprai un piano-forte per cantare ed accompagnarmi.
Se una bomba fosse caduta nel conservatorio non ci avrebbe portato più terrore che quell’innocente divertimento. Le bigotte si armarono di scrupoli, ond’io, per evitare ulteriori mormorazioni e maldicenze, mi ristrinsi a suonare soltanto, senza cantare.
Ma non bastò. Cercavano un pretesto per farmi prendere a sdegno il loro conservatorio: era cosa chiara.
Studiava l’introduzione e la tirolese del Guglielmo Tell. Maria Giuseppa venne a dirmi che la badessa dava in furie contro di me.
«Perché?» domandai.
«Perché non può permettere che le monache siano scandalizzate più a lungo dal piano-forte, essendo stata sempre vietata la musica nel conservatorio».
Mi portai senza indugio nella stanza della superiora, che mi ricevette senza neppure invitarmi a sedere. Quando il Califfo riceve in sua presenza qualche suddito, non si compone a maggior sostenutezza e gravità.
«Dalla mia conversa» le dissi, «ho ricevuto un’ambasciata vostra».
«Sì» rispose guardandomi a traverso; «sono scontentissima di voi per gli scandali delle vostre suonate».
«Non capisco davvero, come suonando si possa scandalizzare».
«Ieri suonaste e risuonaste una Tarantella!
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