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      «La polizia, reverenda, entra colle baionette in canna nel conservatorio!» gridò Maria Giuseppa, che tutto aveva sentito, spalancando la porta e precipitandosi nella stanza.
      La vecchia, rinvigorita dal terrore dell’imminente catastrofe, fece l’estremo di sua possa per rizzarsi in piedi, e vi riuscì; mosse un passo innanzi, e buttatasi a’ miei piedi, e stringendomi le ginocchia con braccia convulse:
      «A te, fidata amica, a te sola mi raccomando! salvami almeno tu!» esclamò in tuono supplichevole, interrotto da singhiozzi. «Non sei tu stessa che salvasti questo conservatorio dall’invasione delle prepotenti Francesi? Deh, prestami una volta ancora il tuo magnanimo soccorso! in te sola ripongo la speranza della mia salvezza, angelo di bontà!».
      I miei sforzi per sollevarla da quell’umile positura tornarono vani; ella continuò a stringermi le gambe sempre più forte.
      «Mi rincresce, reverenda» le dissi allora, «di non potervi soccorrere questa volta. Essendo stata poc’anzi da voi congedata, e dovendo andarmene, sono costretta ad abbandonarvi all’orrendo destino che v’aspetta».
      «No; non partire, non m’abbandonare, ti supplico! restaci, e suona e canta pure quanto vuoi!»
      «Oh, no, no: io debbo partire!»
      «Non ti lascerò, no: resta, per carità!».
      Allora io finii la commedia con una potentissima risata: presala per le braccia, la rialzai da terra.
      «Da ora in poi» le dissi, ripigliando il tuono serio, e rimettendola a sedere sulla poltrona, «da ora in poi, non alzerete troppo superba la fronte, se non volete abbassarla poco dopo nella polvere.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Maria Giuseppa Francesi