E fiancheggiato qual era da un Ferdinando Il, da un Riario, come poteva, poniamo pure che avesse voluto, dar ascolto ai miei lamenti?
Il solo fanatismo della infima plebe napoletana sorreggeva ancora nel vacillante seggio que’ due volgari nemici di ogni bene. E il re di Roma, debole di cuore, più debole di mente, assetato di popolarità, incapace di acquistarla durevolmente, metteva la barca sdrucita della povera Chiesa a rimorchio della loro galera.
Una sera, mentre sull’imbrunire io mi ritirava, la polizia vietò alla carrozza ov’io era di traversare la piazza delle Pigne. Ritrovandosi il Santo Padre nel Museo delle antichità pagane, ove il principe reale gli faceva da cicerone, non sarebbesi potuto aprire un varco nella folla, senza far calpestare dai cavalli la gente. Mi convenne, voltando strada, fare un lunghissimo giro, scendere per la Vica-
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ria e risalire per San Pietro a Majella. Quest’involontario ritardo eccitò la rabbia dell’idrofoba portinaia del conservatorio, la quale con quegli occhi biechi e sanguigni, che mi facevano rizzare i capelli in capo dalla paura, mi disse:
«Se un altr’anno avremo la disgrazia di tenervi con noi, affè di Dio che non metterete più il piede fuori di questa porta!».
E così dicendo, alzava minaccioso l’indice in aria, a guisa di maestro di cappella.
Prima di partir da Napoli, volle il papa visitare uno ad uno tutti i monasteri di clausura. Quando toccò al monastero di San Giovanni, le suore di Costantinopoli manifestarono a quelle religiose il desiderio di vedere la persona del pontefice in un luogo, che, per la vicinanza dei due monasteri, a ciò si prestava.
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