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      Il mandatario, accortosi che invece di dar busse, ne buscava, chiese scusa dell’incomodo, e partì.
      Dopo questo tentativo rimasi altre due settimane in pace.
      Alloggiava allora mia madre nel palazzo Ripa a Ponte Nuovo, ove stretta aveva amicizia colla principessa, padrona del palazzo, e col generale Torchiarola, altro inquilino dell’abitazione, persona di qualche merito.
      La principessa, venuta una sera a visitarmi, disse aver risaputo dal generale, che Riario, in seguito ad un colloquio segreto avuto col re, aveva dato a Peccheneda, direttore di polizia, l’ordine di procedere al mio arresto.
      Qual sentimento spingeva quei signori ad avvertirmi? Forse l’amicizia? Forse il comune liberalismo? Ohibò: troppo bigotti, e troppo divoti erano essi alla dinastia borbonica, per avere alcun che di comune con una monaca ribelle all’autorità. Ricordo anzi che una signora della loro famiglia, donna di ruvido bacchettonismo, aveva tenuta una segreta conferenza con dottori e casuisti intorno ad un caso di coscienza importantissimo: se, cioè, abitando nella stessa casa con me, incorreva nella scomunica; al che la conferenza decise, che poteva pure dimorare sotto il tetto medesimo, purché schivasse di salutarmi. La sollecitudine dunque di quell’avvertimento proveniva dal timore di veder eseguito un arresto nel loro palazzo, e non da altro.
      Rimaste sole, ci mettemmo a deliberare su ciò che dovesse farsi, e fu preso il partito di antivenir l’arresto coll’evasione. Ma dove ricoverarsi? Altro asilo sicuro, tranne un qualche vescovato, non mi poteva preservare dagli artigli del potere.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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