Uno di quella specie di ritiri portava il nome dell’Annunziata. Il vicario, trovata ivi una stanza libera, mi pregò di non prendere in mala parte il nome del locale, poiché se quello era per consuetudine il deposito delle proiette, vi dimorava pure un picciol numero di religiose, che non appartenevano a quella classe di femmine. Parte della mobilia mi fu garbatamente favorita da lui stesso, e parte ne presi a nolo dall’albergo. Io e Maria Giuseppa, che non mi abbandonava, entrammo dunque nel ritiro, e mia madre due giorni dopo se ne partì.
Molti riguardi mi furono usati dai superiori dello stabilimento; veniva ogni giorno il cameriere del vicario per sapere se avessi ordini da dargli, e il cardinale aveva commesso sì alle religiose che alle ragazze di usarmi il massimo rispetto. Ebbi per questa ragione da esse il titolo rancidissimo di Eccellenza.
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Intanto scorsero parecchi giorni prima che Riario avesse scoperto il mio rifugio. Saputolo alfine, si morse le dita, e scrisse a Cassano una lettera piena d’impertinenti rimproveri per avermi dato asilo. Questi rispose trattarsi d’un’onorata religiosa non d’altri scontenta che di lui, e non già, come dal suo foglio sarebbe sembrato, d’una fuggitiva dal carcere, rea di qualche enorme misfatto; del resto, essere l’arcivescovo di Napoli in dovere più di ringraziarlo per avermi accolta, che di censurarlo. Riario sopì la collera, per ridestarla in sé a miglior tempo.
Veniamo ora all’ignobile ritiro, dove il destino mi aveva balestrata.
Grandiosa è l’Annunziata di Capua: ha vasto fabbricato e chiesa bellissima.
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