Chi le avesse viste a qualche distanza lacere, scalze, coi capelli scarmigliati infuriare a quel modo; chi ne avesse udito l’orribile baccano, avrebbe creduto di assistere a un sabato misterioso di streghe e di versiere.
Un giorno, avendo io incontrata quella di loro che faceva più rumore delle altre, una giovine magra e spilungona, cui non moriva in bocca mai la lingua, la pregai di volersene stare, se poteva, un po’ più tranquilla. Ella, dopo avermi baciata la mano:
«Eccellenza, fo l’impertinente e la chiassona apposta».
«Tu mi canzoni!»
«Gnoranò: fo l’impertinente per pigliar marito».
«Non t’intendo».
«Eccellenza sì: chi non fa la pazza, qui va a pericolo di restar sempre ragazza. In questa Annunziata qui, non si fa mica come in
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quella di Napoli, dove i giovanotti si scelgono la sposa, buttando il fazzoletto alla ragazza che vogliono. Qui gli uomini (belli o brutti, giovani o vecchi importa poco) vengono al parlatorio; la superiora chiama allora per nome ognuna di noi una dopo l’altra, finché al compratore non piaccia la mercanzia. Ora dovete sapere, che quella furbacchiona, le prime che chiama al parlatorio son le più impertinenti, quelle che l’hanno fatta più disperare».
«Perché?»
«Per liberarsene più presto».
Non potei frenar le risa a siffatto ricambio di furberia, e quando m’imbattei nella superiora, la quale più volte erasi consigliata meco rispetto al modo di regolare quel pandemonio, le suggerii lo spediente di chiamar le ragazze, non di arbitrio, ma per età; poiché così avrebbe tolto il caso che facessero le cattive per speculazione.
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Annunziata Napoli
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