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      Tutte le mattine veniva a salutarmi una giovine contegnosa, ma pallida e molto mesta, che celava un mistero difficile molto a indovinare. Le domandai se soffriva di qualche indisposizione: esitò sulle prime a rispondere, ma poi, con parole interrotte e sospirando, consentì a rivelarmi ch’ell’era vittima d’una malìa. Io presi l’impegno di persuaderla che le stregherie sono mere imposture, e non bisogna crederci; ma mi avvidi che pestava l’acqua nel mortaio, perché la poveretta erasi fissata in quell’idea.
      Avendola pregata a raccontarmi come credeva essere stata ammaliata, ella condiscese a manifestarmelo.
      Aveva ella, mi disse, amoreggiato per più anni con un tale, che era andato provvisoriamente a Napoli co’ suoi padroni. Prima di separarsi, recandosi costui a qualche distanza della città, vollero vicendevolmente giurarsi fedeltà inviolabile. Ma se fedele si serbò il giovine nell’assenza, non ne fece altrettanto la capuana, perché, contratta amicizia con un sergente, violò il giuramento. Di quest’infrazione avvertito il primo amante, volò sollecito in Capua, ove, fingendo di trattare la perfida come prima, invitatala a pranzo, le regalò delle paste che aveva portato da Napoli. Il giorno appresso, assicuratosi che la sleale amante aveva già divorato il regalo, gettò la maschera, e rinfacciandole con virulenza il tradimento: «Ora sono vendicato!» le disse. «Già la malìa opera nelle tue viscere... Addio!».
     
      Da quel giorno in poi fu turbata la ragione di quella infelice: un’estrema confusione di idee e di sentimenti la condusse a quello stato lagrimevole.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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