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      Ora se non m’era dato uscire ogni volta in legno, come avrei potuto girare a piedi col vestimento benedettino, in una città, ove gli scioperati giovanastri si facevano un vezzo di non lasciare libero il passo alle donne per la via?
      Lasciato perciò l’abito di monaca, ne presi uno di seta nera, conforme al parere che dato mi aveva il cardinale Cassano, e come pure altre persone di buon senso mi consigliavano.
      Il padre Spaccapietra partiva frattanto pd Giappone in un colla missione, lasciandomi in ricordo l’Imitazione di Cristo, e la memoria della sua carità esemplare. La sera del 13 giugno, ritirata nella mia stanza con Maria Giuseppa, mi tratteneva seco lei riandando le
     
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      peripezie sofferte nei diversi chiostri, e scambievolmente consolandoci e rallegrandoci di poter alfine respirare liberamente. Tutto infatti d’intorno a noi spirava calma, benessere, espansione: regnava dappertutto la felicità. L’aria era tepida e imbalsamata dai profumi, che le piante innamorate del belvedere spiravano, mentre ingenue giovinette bisbigliavano nelle sottoposte finestre, mandando di tratto in tratto sospiri, manifestazione di desiderii arcani. La luna in alto proseguiva solinga il corso superba del suo splendore, framezzo un corteggio di nuvolette, frangiate, inargentate con stupenda leggiadria. Io mi sentiva rinascere al pensiero di aver ricuperato il posto che assegnato m’aveva da principio la Provvidenza, di potere liberamente ormai offerire la tenuissima mia cooperazione al servigio de’ miei simili.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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