Mezz’ora dopo eravamo entrambe pronte.
«Non vi fate così abbattuta!» dissi alla conversa, carezzandole leggermente la guancia: «ricomponetevi, prima di uscire, ché quella gente non ne provi soddisfazione!»
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«Dite bene, signora» rispose essa: e per compiacermi si sforzò di sorridere, mentre a stento ratteneva le lagrime.
«Potete andare avanti» disse il commissario al prete; «la signora non ha fatto resistenza».
Il vampiro, fatta la riverenza, disparve. Morbilli, voltosi a Maria Giuseppa, che carica di scialli e d’altri oggetti, stava pronta a seguir mi,
«E tu chi sei?» le domandò.
«Sono la conversa».
«Tu non accompagnerai la signora al convento!» soggiunse ilciclope.
«Perché?» disse l’una di noi: «Perché?» replicò l’altra.
«La signora sarà condotta al ritiro: tu verrai meco al commissariato per esservi interrogata, e quindi rimandata al tuo paese».
Gli urli, le strida, i lamenti che mandò la povera giovine, il suo avviticchiarsi alla mia persona, come per cercare rifugio e protezione, poi il pianto e i gemiti e la disperazione cui davasi in preda, stavano per farmi perdere il contegno. Se non che la commozione, repressa a forza dall’amor proprio, in tale spasimo mi metteva i muscoli della bocca, che pur volendo parlare non avrei potuto.
La povera Giuseppa non cessava di abbrancare ora l’abito, ora la mano mia, e di gridare:
«Oh, cara, adorata signora, se non volete staccarvi dalla vostra povera conversa, perché non scacciate questi birboni?».
Il commissario, chiamato un ispettore che attendeva all’uscio, gliela consegnò. Io non parlai punto, per tema di prorompere in pianto, ma diedi soltanto a Giuseppa un bacio d’ultimo addio, e pregai la vecchia fantesca di non abbandonarla finché non fosse rimandata ai suoi parenti.
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Maria Giuseppa Giuseppa Giuseppa Morbilli
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