Fatta questa cattura, l’odiosità della ricerca fu adonestata col sequestro di coltelli, forchette, forbici, d’un temperino, e di altre cose consimili.
Il nemico del vocabolo eziandio scendeva le scale quand’io rientrava nella mia camera. Voltosi con un amaro sogghigno, in cui balenò tutta l’ingenita sua malvagità, «Con vostro buon permesso» disse, «riporterò a Sua Eminenza, vostro e mio benefattore, che tolti vi sono i mezzi di attentare alla preziosa vostra esistenza».
E detto questo, scese la scala.
Sfuggì per altro alle loro indagini un fascio di carte ben altrimenti pericoloso. Io era sicura che senza la mano d’un uomo del mestiere non avrebbero scoperto il ripostiglio contenuto in uno dei bauli.
Ma di ciò a suo tempo.
Sabini ogni mattina presto veniva a trovarmi. La forte comples-
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sione m’aiutava a superare quella lotta fisica e morale, cui ogni altra donna avrebbe forse dovuto soccombere. Nondimeno m’astenni tenacemente da ogni qualsiasi alimento, ed il medico si avvide che la mancanza di cibo andava scemando le mie forze con sempre maggiore rapidità.
La mattina dell’undecimo giorno mi ritrovò in uno stato d’estrema depressione; io non poteva più alzare il braccio smunto, e solamente a sollevare il capo dall’origliere sveniva. Tanto inoltrata era l’estenuazione, che divenuta incapace di scendere dal letto, io non poteva, com’era solita mettere la sera il chiavistello all’uscio di quel tugurio.
Sabini per salvarmi immaginò un pietoso ripiego.
Governatore del ritiro era un Caracciolo, principe di Cellamare, di cui egli era ugualmente il medico.
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Sua Eminenza Caracciolo Cellamare
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