Più d’una volta ei mi aveva detto che aveva tenuto parola di me col principe. Una mattina, adunque, ridendo e stropicciandosi le mani, «Allegra, signorina» mi disse: «vi porto buone nuove!».
Fatto uno sforzo, mi volsi a lui.
«Ieri sera» soggiunse, «il principe vi raccomandò caldamente alle autorità, le quali condiscendono, appena convalescente, di farvi uscire».
Il cuore mi cominciò a battere tanto forte, che non so come non rimanessi colpita da sincope.
«Dunque sarò scarcerata!» dissi, sforzandomi di riprendere la lena che mi mancava, e di stendergli la destra.
«Di certo» riprese egli: «e però bisogna rimettersi in forze, poiché non voglio che, uscita di qui, facciate paura alla gente. Presto, signora priora, fatele portare del brodo».
Un momento dopo la conversa ne portava un poco, che il medico stesso, sorreggendomi sul capezzale, con carità paterna mi faceva prendere a cucchiaiate. Alla terza cucchiaiata la vista mi si offuscò, e prima di potermi rimettere sul guanciale rigettai quella magra e scarsissima sostanza.
«Lasciamola in calma» disse Sabini: «troppo avanzata è la spossatezza. Ora le scrivo un calmante che le somministrerete ogni mezz’ora».
Io m’era lasciata prendere all’esca; più del brodo e della ricetta m’avevano rianimata le parole del medico. Il giorno appresso stava meglio: continuavano tuttavia a funestarmi le apparizioni, effetto dello sconcerto mentale: ma la speranza, supremo specifico, qual
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sollievo mai non reca al disperato? Dopo quattro giorni il miglioramento era grande; il sesto Sabini chiese al parlatorio le mie nuove, ma non salì. Sul finire della settimana io ricominciava pian piano a cibarmi.
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Sabini Sabini
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