.. ma frattanto Sabini non si faceva rivedere. Mossane qualche lagnanza alla priora, ottenni che fosse richiamato.
Ei venne alfine. Com’ebbe avuto contezza della mia salute, gli domandai del giorno in cui mi sarebbe stato comunicato il permesso d’uscita. Ei mi rispose in termini evasivi: non mi tolse la speranza della redenzione per non farmi ricadere, ma disse non potermene precisare il momento... Ohimè! Ivi a poco acquistava l’amara certezza d’essere stata pietosamente ingannata.
Piansi come donna non ha pianto mai; nuovamente mi diedi alla più smoderata disperazione, non seppi a qual estremo partito appigliarmi, ma non ebbi più il coraggio o la pusillanimità di troncare i miserandi miei giorni per mezzo del digiuno.
In questo mentre mia madre era tornata da Gaeta. Informata dalla sorella che le lettere mie subivano al parlatorio una sorte pari a quella che in tutti gli uffici postali del Regno subiva la corrispondenza del pubblico, mi rese conto del suo operato in termini del tutto inintelligibili. Ma l’inciampo non mi scoraggiò. Bene conoscendo l’altiera e risoluta indole di lei, poteva io dubitare che dopo l’affronto ricevuto fosse ella donna da starsene colle mani alla cintola?
In uno de’ miei lucidi intervalli (e ne aveva allora di più frequenti) concepii un ingegnoso sotterfugio. Domandato alla priora chi avrebbe preso cura della mia biancheria, ed avuto in risposta che le sue converse non avevano il tempo, ne feci un fagotto per mandarla in casa di mia madre, e nella cocca annodata di una pezzola avvolsi un biglietto, col quale chiesi contezza di ciò ch’ella aveva operato per me.
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