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      Perdonami, lettore, come spero m’abbia perdonato Iddio!
      Il polso debole e tremante diede poca forza al colpo: una stecca di balena fece scivolare il ferro, che strisciando sulla pelle, la sfiorò.
      Avrei forse rinnovato il colpo, ma l’orrore e il ribrezzo che mi fece il freddo della lama mi risvegliarono da quel delirio. Non fa
     
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      parte della legge divina anche l’istinto della propria conservazione? La voce interna che al disperato grida: Conservati! non è forse quella d’un angelo custode, che il cielo invia?
      Lo stile mi cadde di mano: io mi posi tutta tremante a sedere.
      Non era scritto che dovessi morire, in un accesso di demenza, omicida di me medesima. Vissi, piansi, patii ancora; e, ne sia lode alla divina Provvidenza, io sopravvissi a quell’era d’ignominia e di servaggio!
      Nuovi tormenti m’aspettavano.
      Non paghi i preti d’avermi costretta ad incapperucciarmi nuovamente, vollero pur menarmi per confessore un religioso di loro fiducia, il padre Quaranta, agostiniano. Trattandosi d’un’anima dannata, la cui conversione non avrebbe forse mancato d’essere ascritta a miracolo, scelsero quel religioso, come colui che, salito in grido d’ineluttabile facondia e in odore di santità, di leggieri avrebbe vinta qualunque resistenza. Risolvei di non portarmi al confessionale. Quaranta mi fu condotto in camera tutti i giorni, a mio dispetto, e ad ore indeterminate. Era egli un vecchierello smemorato, navigante a gonfie vele alla volta dell’imbecillità, il quale, troppo occupato del fervorino che recitava tutto d’un fiato e a modo di scatola musicale, dimenticava da un momento all’altro le mie obiezioni.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Iddio Conservati Provvidenza Quaranta Quaranta