Le cose andavano prendendo buona piega; ma chi non conosce i traccheggiamenti della corte romana, dove per ottenere un’udienza preliminare fa d’uopo talvolta aspettare più settimane o più mesi?
Nel seguente marzo mia madre cadde gravemente malata di bronchite; sempre peggiori mi giungevano le nuove del suo stato. Bramosa di vederla, e reputandomi ormai esonerata da’ rigori della clausura, sperai che almeno in quella urgente e dolorosa circostanza non mi sarebbe negato valermi dell’ottenuto permesso. Ne feci richiesta al cardinale; ei rispose con imperioso laconismo: «No!».
La principessa di Ripa si recò da lui per implorare un atto di umanità, che non un capo di Chiesa cristiana, ma perfino il più fanatico muftì di Costantinopoli si sarebbe sollecitato di accordare. Promise la pietosa dama, che sarebbe venuta a prendermi colla sua carrozza chiusa: che ricevuta l’ultima parola della morente genitrice, ella stessa e nella stessa giornata mi avrebbe ricondotta a Mondragone; pregò, insisté, supplicò in termini che commossero tutti gli astanti; concluse dicendo che la figlia, già sofferente, sarebbe morta di cruccio, ove non avesse ricevuto l’estrema benedizione della madre. Sua Eminenza rispose: «Muoia pure: non uscirà mai più».
Alle sollecitazioni della principessa aggiungevasi il giorno dopo la mediazione del nunzio, il quale per atto di spontanea filantropia costituivasi garante del mio ritorno al chiostro. Sua Eminenza rispondeva di nuovo: «No».
Alfine mia madre spirò col dolore di non aver potuto abbracciare negli ultimi momenti la più sventurata delle sue figlie.
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