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      Il primo se ne scusò, venne il secondo.
      «Non una sola, ma cento fedi farei, simili a quella del vostro curante» disse costui, dopo avermi minutamente e a lungo esaminata. «L’inumanità, di cui siete vittima, desterebbe orrore anche ad un barbaro. Se la mia fede potesse procacciare un sollievo alle vostre pene, siate certa di conseguirlo in breve. L’aria libera è necessaria a voi quanto il pane. Dove vorreste andare?».
      E stava sospeso colla penna in mano nell’atto di scrivere. Per sottrarmi dalla diocesi di Riario, proposi i bagni di Castellamare, e il medico approvò la scelta. Lo stesso giorno mandai la fede all’arcivescovo, il quale non sapendo più che fare, dovette forzatamente inviarla a Roma; non sì però che non l’accompagnasse con una sua lettera, piena di velenosi dubbi ed insinuazioni. La persona, che in Roma aveva l’incarico di salvarmi, stava in cerca d’un qualche appiglio per condurre la pratica a buon fine. Ora nel rileggere quest’ultima lettera dell’arcivescovo vi notò una frase, che per sua ambiguità mirabilmente prestavasi a mio favore. Dicendo di temere per
     
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      la mia salute, Riario intendeva la salute dell’anima; i rescritto prese motivo dall’interpretazione opposta, ossia dalla supposizione che il cardinale avesse inteso la salute del corpo.
      Iddio dunque decretava che avessero fine una volta le mie tribolazioni, e incominciasse il periodo del respiro nell’aspettazione di quello del trionfo. Tre giorni dopo ch’io ebbi mandato il Breve al cardinale, mentre lavorava tutta sola nel mio umile abituro, fu bussato con forza alla porta.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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