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      .. Che faceva intanto io inoperosa in Castellamare? Gli amici, deplorando l’esilio mio, m’indirizzavano lettere disperate. Pensando adunque che si sarebbe in Napoli ritrovato un piccolo posto anche per la mia personale operosità, pensai di mettere in non cale ogni pericolo, purché potessi prestare anch’io qualche tenuissimo servigio al movimento che s’ordinava.
      Dopo undici mesi, oziosamente passati in quel paesetto, feci una seconda visita al Vescovo.
      «Monsignore» gli domandai, «se vi scacciassero dalla vostra sede, e vi mandassero pel resto della vita in esilio, vi piacerebbe?»
      «A nessuno piacerebbe» rispose egli ridendo, perché aveva inteso dove l’interrogazione mirava.
      «E perciò dispiace anche a me; e non potendo stare eternamente separata da’ parenti, ho risoluto di tornare a Napoli».
      «E Riario? E il governo? E le spie?»
      «Dagli amici mi guardi Iddio, dai nemici mi guarderò io».
      Pochi giorni dopo io prendeva a pigione un quartierino nella capitale, in un nuovo palazzetto di faccia alla Croce del Vasto, e me n’andai a stare con la vedova, non però senza la precauzione di tene-
     
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      re sempre una stanza in Castellamare, per rifugiarmi nel caso di qualche imminente pericolo.
      Il posto remoto di quell’alloggio, la trasformazione dell’abito, e la generosa tolleranza del Vescovo servirono a tenermi lungamente al coperto dall’altrui curiosità; e le minuziose cautele che presi in difesa dell’incognito avrebbero prolungata la mia sicurezza, senza un caso imprevisto che diede sentore a Riario del mio ritorno.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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