Abitava al piano superiore un prete che m’accadde più volte d’incontrare per le scale. Il suo sinistro aspetto mi faceva terrore e schifo. Una sera del mese di febbraio, intorno alle 9, lasciai la stanza della vedova per andare a letto. Divideva la camera mia dall’ingresso un salottino rischiarato da un lampione, che faceva pur lume alla scala, essendo la via appartata, ed il palazzo senza portinaio. In quel momento udii scendere dal piano superiore due persone, le quali presero ad altercare fra loro. Un grido orribile: Ah infame! mi fece raccapricciare, e subitamente sentii cadere a terra un uomo, che con fioca voce diceva: Mi hai assassinato! Udii quindi i passi di persona, che risaliva frettolosamente le scale; poi uno scoppio di grida e di pianti sopra la stanza mia; alfine spalancar la finestra dalla parte posteriore del palazzo, e in pari tempo il tonfo di un peso che cadde dalla finestra. La vecchia dama, sua nipote, ed io eravamo in preda alla costernazione: tutta la gente del palazzo in movimento. Quando intesi voci di persone a me note per gente dabbene, preso il lume, mi accostai all’uscio: io mi ritrassi inorridita; ma poi ripreso coraggio, tornai a farmi innanzi per soccorrere il ferito, se ancor vivesse. Aprii, e, oh spettacolo orrendo!... Un giovane dalla folta e bionda chioma giaceva disteso vicino alla mia porta; una larga ferita gli aveva aperto il ventre, mentre quel misero cogli occhi smarriti e immoti, digrignando i denti, esalava l’ultimo fiato. Domandai dell’uccisore; nessuno sapeva nulla, e non meno ignoto a tutti era il nome dell’ucciso.
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