Entrata in qualche chiesa del vicinato, i preti andanti mi assaltavano fin dalla porta per domandarmi:
«Volete confessarvi?». Stabilita in qualche nuova casa i vicini stavano attenti a sobillarmi la fantesca con adescamenti di ogni genere; poi la interrogavano:
«È fanciulla? È vedova? È maritata? Perché abita sola? Perché non si marita? Chi è il suo confessore? Ha qualche amante? Come si chiamano quei tali che l’hanno visitata stamani? Tiene carteggio con nessuno? E le lettere, le porta da sé alla posta, o le consegna a voi?».
Ed ecco la via che seguiva lo spionaggio di quel dipartimento: il fatto dalla fantesca passava al droghiere, all’oste, al farmacista, e bene spesso al medico del vicinato: da questi trasmettevasi, sotto la garanzia della confessione, al parroco, e quindi al vescovo: dal quale passava ipso facto al commissariato, donde giungeva poi al gabinetto del re.
Una volta mi avvenne di avere dirimpetto alla mia abitazione una vecchia zittellona, la più molesta zanzara delle maremme clericali di Napoli. La sua casa era dalla mattina alla sera un viavai di frati e di preti d’ogni specie; essa li menava al balcone, onde pigliarsi il gusto singolare di accennarmi loro a dito, ogni volta che per caso m’affacciassi alla finestra. La mia serva fu da lei guadagnata con regali, e per questo canale ella s’informò di tutto quello che accadeva in casa mia. Per liberarmi dalle punture di quell’insetto, che non mi dava né pace né tregua, mi convenne perdere un trimestre, e cercarmi un asilo in altra via.
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Napoli
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