Ma fu peggio. Seppi con mio stupore che il padrone di casa era niente meno che un impiegato di polizia. Appena saputo ciò, vole-
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va lasciare anche quell’abitazione, a rischio di perdere un secondo trimestre; ma una tale precipitosa partenza avrebbe maggiormente destati i sospetti del poliziotto, e perciò presi il partito di rimanervi. A dritta e a manca dello stesso piano, da me abitato, stanziavano perpetuamente due birri maschi; al piano di sotto vigilavano, pettegoleggiavano due altri birri femmine, sorelle del padrone di casa. Spie al buco della chiave dell’uscio di casa, spie per le scale, spie nel cortile e nei terrazzi, insomma un’invasione di spie in tutti i luoghi. Quest’Argo da’ cento occhi, avendo notato ch’io non mi confessava, ne fece parte al parroco, e questi chiamò in casa sua la mia fantesca, per assoggettarla a lungo e minuzioso interrogatorio, particolarmente rispetto ai nomi e alle qualità delle persone che frequentavano la mia casa. Ne uscii a bene, avendo la fantesca affermato di non vedervi praticare nessuno; ed era vero; ma dovetti anche quella volta mutar di cameriera.
Non ebbi in questo intervallo dalla polizia, che una sola granfiatina.
Alcuni mesi dopo la morte di Ferdinando 11, mi imbattei presso gli Studi in un uomo, non meno insigne per patriottismo, che per sapere. Scambiati i complimenti d’uso, parlammo brevemente dell’aspetto che le cose d’Italia prendevano, atteso l’imbecille governo di Francesco Il; poi, data intorno un’occhiata d’esplorazione, l’illustre uomo si trasse di tasca una lettera che mi consegnò. Io me la riposi in seno, non però senza accorgermi ch’era stata adocchiata dal pedissequo poliziotto, e per conseguenza non senza la sicurezza d’esser chiamata l’indomani a renderne conto.
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