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      E così fu.
      Di buon mattino mi fu annunziata la visita d’un aiutante di Aiossa, il quale con esimia garbatezza volle da me sapere: quando, e dove, e per mezzo di chi avessi fatta la conoscenza del signor B.G., se questi fosse uso di visitarmi, ciò che il giorno innanzi m’aveva detto per la via, ecc., ecc.
      A tutto questo risposi in modo, che parve averlo soddisfatto.
      «E la carta che egli le mise in mano?» mi chiese da ultimo. «Vorrebb’ella compiacersi di favorirmela per un momento?»
      «Eccola appunto!» risposi con prestezza e disinvoltura.
      E pigliata una carta piegata, che a tal uopo avea messa sul mio scrittoio, gliela porsi con garbatezza uguale alla sua.
      Era l’ultimo numero del Giornale di Napoli.
      La mattina del 25giugno 1860, tutte le cantonate di Napoli era-
     
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      no ingombre di gente d’ogni classe, intenta a leggere un manifesto:
      era l’atto sovrano, per cui il giovine Eliogabalo, stretto dalla rivolta di Sicilia, dalla vittoria di Garibaldi, dall’attitudine minacciosa della capitale e delle provincie continentali, dalle mire, come costoro le chiamavano, invasive della Casa Savoia, e dall’indifferenza de’ gabinetti, prometteva a’ suoi sudditi istituzioni rappresentative italiane e nazionali, ed una lega col re di Sardegna, accettava i tre colori, e faceva sperare analoghe istituzioni costituzionali per la Sicilia.
      Dopo aver letto, tutti si ristringevano nelle spalle con aria di compassione.
      «Che dice?» domandai al mio compagno, che per leggere il Manifesto erasi fatto largo nella folla.
      «È» mi rispose, «il testamento di un negoziante fallito per la quinta volta».


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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