Le tenebre cominciarono a farsi sul regno, quando in Europa la Repubblica francese, il Direttorio e il primo console gittavano a piene mani la gloria delle vittorie, i codici, i regolamenti dell’istituto, la libertà, l’organizzazione amministrativa, e colpivano il Califfo di Roma dicendogli: Tu sei prete, non puoi esser re! Poi ei cominciò, il re buffone, l’opera della demolizione di quanto di buono ci aveva importato la Francia, rispettando solo l’aggravante sistema de’ balzelli. Poi spergiurò, quando ci costituimmo a libertà; poi ci consegnò piedi e mani legati all’Austria, e di soldati tedeschi allagò il reame, e del soldato tedesco ci fe’ roba da rubello. Poi ci pose sul collo il giogo implacabile de’ concordati, ci contaminò di frati e di preti; creò la polizia, che assorbì il reame e lo tramutò in nefanda ed insanguinata muda; c’infeudò come stabile ad un pugno di cortigiani infami e ribaldi.
«Sardanapalo passò: che restò di lui? Qual passo aveva egli fatto fare a questo popolo nella via del progresso tranne il proprio codino ch’ei si recise? Quale istituzione libera ci restò in retaggio dalla grande commozione della rivoluzione francese, tranne la conservazione della fondiaria, e dell’esercito permanente? Quale benefizio ci lasciò, tranne i Padri della Compagnia di Gesù, ed un Canosa ministro? Ei ci prese tutto, e ci legò Francesco, unitamente all’odio, non pur placato, che divide Napoletani da Siciliani.
«Sire, dite, di che dobbiamo ringraziarvi, di che dobbiamo essere memori e riconoscenti pel regno di Ferdinando I? Forse di tanti atti di sprezzo, di sangue, di diffamazione?
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