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      E il mio velo?
      Mentre per evitare la solennità di un Te Deum, e per isfuggire la prece d’uso: «Signore fa’ salvo il tuo popolo, e la tua eredità!» i preti di San Gennaro tenevano occupato Garibaldi nella visita oziosa de’ loro tesori; io, toltomi il velo nero dal capo, e ripostolo sur un altare, ne feci atto di restituzione alla Chiesa, che me l’aveva dato venti anni fa. Votum feci, gratiam accepi.
      Da quell’istante considerai strappato pur l’ultimo filo che mi vincolava allo stato monastico; e il nome di cittadina, che dato a tutti
     
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      non contiene comunemente alcuna distinzione, divenne per me il titolo più proprio, più bello ancora dell’antico civis romanus, come quello che per noi risale all’unità di Dio, santificata nel sangue di Cristo, e rivela, sostituita alla città di Roma, una città Italia. Perciò se qualcuno da allora in poi mi ha chiamato per abitudine Suora o Canonichessa, io l’ho interrotto dicendo: chiamatemi Cittadina, e se volete aggiungere una distinzione dite: quella cittadina che provocò e promosse il Plebiscito delle donne in Napoli.
      Se però non sono amica della sottana nera, non conservo per essa risentimento. Ho deposto i miei rancori col velo nero che lasciai sull’altare.
      E di molti insegnamenti pratici mi riconosco debitrice alla lunga reclusione. Se pel tratto di vent’anni non mi avesse il destino ribadita al piede la catena del galeotto, se fossi passata a marito giovinetta, avrei forse nella scuola del mondo imparato altrettanto a scemere le malvagie passioni sul loro nascere, le passioni che sbocciano nell’aria chiusa e si nutrono di ire, di rancori, di gelosie, di sospetti?


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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