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      E a noi sa di fazione, dottor C., della fazione che spinse il cristianesimo all'intolleranza, alle persecuzioni, agli sperperi delle arti antiche, agli abbruciamenti delle biblioteche, fra cui esultava lo spirito selvaggio di Orosio, il prete spagnolo che poi doveva insultare all'eccidio di Roma, quel proscrivere, come voi fate, quel bandire all'odio universale tutta intera una civiltà, che improntò gran parte di mondo di quella unità meravigliosa onde s'aiutò poi il cristianesimo, che lasciò all'Europa il retaggio della sua legislazione, delle sue costituzioni, del suo senno pratico: la civiltà che sola diè all'Italia l'idea nazionale, da' cui frantumi risorse colla forma dei Comuni la libertà popolare, col simbolo dell'impero il concetto dell'unificazione. Quando voi dite che la civiltà romana ai nostri giorni farebbe vergognare di sé le piú barbare tribú africane, non c'è bisogno di confutarvi: simili sentenze portano nella loro esagerazione la loro condanna: ce ne appelliamo al Vico, da voi non degnato mai di né pur nominarlo. Né la letteratura romana ha bisogno delle nostre apologie, per non essere reputata ordinariamente sotto il livello della mediocrità e congegnata sempre sulla piú gelata apatia del sentimento: né del nostro aiuto han bisogno Cesare, Cicerone, Tacito, Virgilio ed Orazio, per rimanersene fra i piú grandi scrittori delle nazioni civili. Vero è ch'indi a poco voi salutate Tullio grande oratore, parlate dei canti immortali del castissimo Virgilio, onorate Tacito del titolo d'ingegno superiore al giudizio di qualunque non si levi all'altezza del genio.


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Conversazioni critiche
di Giosuè Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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