E tutto finisce con un bel figliuolo maschio; al quale, perché nulla si abbia in fine a desiderare, fa da padrino il pentito Omobono.
La storia č dunque per sé semplicissima; lo svolgimento naturale, aspettato. Ma tutto acquista aria di novitą e varietą singolare dal modo del racconto. Il quale definire č difficile: mi proverņ per via di paragoni. Mi pare che l'illustre autore anzi tutto abbia saputo ringiovanire la novella antica italiana, con gli allegri suoi motti, con la sua eloquenza argutamente ed elegantemente ciarliera; ed abbia saputo accortamente accoppiarla a quel burlone finissimo, incisivo, accigliato, che č il romanzo di costumi inglese. Per quanto la sembianza della storia pubblicata dal Guerrazzi sia italiana, pur tuttavia, chi cerchi sottilmente, piś d'un lineamento gli parrą di scorgere, che rammenta una parentela col zio Tobia e con Tristano Shandy. Potrebbe anche assomigliarsi a una pittura domestica fiamminga, in cui le oneste scene borghesi fossero a quando a quando interrotte da qualche gruppo del Callotta, mentre sorridono e scherzano in disparte alcuni putti del graziosissimo Albano. Forse delle digressioni tanto care allo Sterne ne ha troppe il Guerrazzi. Ma chi vorrebbe dirgliene parola in contrario, quando egli stesso mostra di tenersene, come d'argomento a rivolgersi, di mezzo al racconto, da qualunque tempo, da qualunque luogo, al lettore, e intrattenersi con lui di ciņ che piś gli preme? E, o digressioni o episodi che si vogliano dire, ve ne ha in questa storia di bellissimi.
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