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      Annessa alla prepositura v'ha la pingue rendita di cinque mila franchi, che il neo-prevosto saprà usare piamente, perché evangelico pastore lo annunziano la fama e i versi del bravo sacerdote Don Picco.» È veramente di buon gusto, e contenta tutti, il preposto, Don Picco poeta e gli spiriti forti del villaggio. La religione in somma del Regaldi, come di molti scrittori della sua generazione, è un idealismo, se non vogliasi piuttosto un ottimismo poetico, il quale si allarga a tale una tolleranza che confina da piú lati con lo scetticismo.
      Del resto il Regaldi considera con roseo ottimismo tutte le cose e gli uomini tutti. Egli, come ogni poeta da natura e nello stato di natura, è buono. Ammira facilmente, facilissimamente loda: per lui non vi sono né scuole né partiti né sètte: cita Giuseppe Mazzini e il commendatore Minghetti; ama il Cibrario e il Brofferio; il Prati, Norberto Rosa ed il Révere. È un uomo egregio che vi apre le braccia e vi sorride di primo acchito; che si esalta della sua stessa parola, e prorompe nella lirica. Noi in vece, cresciuti dopo il 1849, maturati dopo il '60, siamo una gelida e arcigna generazione. Poco e di rado amammo; meno credemmo; e dubitammo troppo spesso di avere, ove ammirassimo oggi, a ricrederci domani. Abbiamo dell'acredine nel sangue; e molti di noi si vantano di essere d'un partito, credendo in verità che il non aver partito, quando la non sia una figura di parole, debba essere una immoralità. Per ciò quella gran bontà e larghezza del Regaldi non la possiamo accettar per intero: non dico che volessimo in lui un po' di fiele, che anzi in fondo desidereremmo per avventura di esser come lui; ma a noi iconoclasti quel suo voler di frequente rizzar degli altari fa specie.


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Conversazioni critiche
di Giosuè Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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