Vero è per altro che gli scrittori in prosa oggigiorno, in confronto a quei del settecento un po' piú freddi un po' piú secchi e poveretti, hanno della imaginazione sin nell'impasto della frase e una certa magnifica arte di disporre che fa delle volte ottimo effetto. «Veramente il cielo si abboniva (séguita il Regaldi); ond'io, ringraziati l'uno e l'altra delle amorevoli accoglienze, uscii colla guida per affrettarmi a Cesana, dove giungemmo in capo ad un'ora sotto luminoso arcobaleno, che coronando la capanna del pio pastore dalle falde del Chiabertone alle acque della Ripa mirabilmente si distendeva.» E cosí finisce il paragrafo. È un bel finire: pur che questo della imagine in fondo non divenga un processo sistematico, come piú d'una volta accade agli imitatori del Lamartine, se non vuolsi dello Chateaubriand.
III.
Ma la fantasia del Regaldi non sempre è descrittiva soltanto: qualche volta prende forza dal cuore, e il suo aprir dell'ale risponde a un batter di quello. Disceso col poetico viaggio a Torino e fermo su la piazza di San Carlo, lo scrittor novarese non dimentica la notte del 22 settembre 1864; e inorridisce al ricordare gli allievi carabinieri irrompenti a fucilate su l'affollato popolo inerme. «Nella concitata mia mente ho veduto Emmanuele Filiberto rizzarsi sul destriero, e levando la spada cercare intorno a sé gl'invasori stranieri per combatterli. Ahi! vedendo i segni della pugna civile, egli fremente esclamava: Chi sono gli sciagurati che cagionarono gli orrori del macello cittadino?
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