- Non sono Piemontesi: risposero cupamente fioche voci di moribondi. - Ma pur sono Italiani: gridarono mille voci piene di giusto sdegno.... Le acque della Dora e del Po non cancelleranno facilmente nella piazza di San Carlo le macchie del sangue cittadino.» Ha ragione; né so davvero quanto valessero i conforti che si provò a dare al Regaldi in riva all'Arno un suo cólto amico di Toscana. «Poeta, mi disse, si tolga il velo alla favola; e in Fetonte rovesciato dal carro di luce nelle acque dell'Eridano presso alla foce della Dora facilmente ravviserai il fondatore della colonia ligure appiè delle Alpi, spodestato e perduto nei disastri d'incaute imprese. Poeta, ugual sorte sarebbe toccata al fondatore del regno italico fra il Po e la Dora. Ma qui sull'Arno, non piú savoiardo, non piú piemontese, ma italiano, il lealissimo fondatore, nella patria di Dante e Michelangiolo, di Galileo e Machiavello, trarrà vita nuova e sicura dall'idioma e dalle arti, dalle scienze e dalla politica della nazione intera. - Un albero secolare, gli risposi, radicato in terreno acconcio opino che corra pericoli gravi se altri vuole trapiantarlo in campo novello.» Non so, dico, quale a questa volta fosse piú poeta fra il Regaldi e il cólto amico suo, politico interpretatore di comodi miti.
Il Regaldi tuttavia (ciò che da un poeta ordinariamente non si aspetta, ed è un torto che facciamo a Orazio e all'Ariosto) ci si mostra anche acuto ed arguto osservatore. Tra le fantasie pittrici della Dora chi si aspetterebbe dei periodi maliziosetti ed ironici come questi?
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