Io gli antepongo di gran lunga la sfacciataggine bronzea anzi di granito, monumentale a ogni modo, di Lope de Vega, la fenice di Spagna, a cui, per omaggio all'ingegno e alla gloria, Urbano ottavo mandava il diploma di dottore in teologia e il Grande Inquisitore il brevetto di famiglio del Sant'Uffizio, alle cui esequie tre arcivescovi cantaron la messa. Nell'Arauco domado di Lope, Caupolican difensore della libertą del Chile, č fatto prigioniero dalli spagnoli e condotto davanti a Garcia di Mendoza loro capitano. «Che č ciņ dunque, Caupolican?» domanda il vincitore. «La guerra, signore, e la mala ventura,» risponde il vinto. Il Mendoza riprende: «La mala ventura č guiderdone degno di quelli che combattono contro il cielo. Non eri tu vassallo del re di Spagna?» E Caupolican: «Io nacqui libero, ho difeso la libertą della mia patria e delle mie leggi, non ho mai attentato nulla contro la vostra.» Ma la vittoria del re cattolico deve esser piena, e il vinto si arrende anche alla religione del vincitore. Ciņ non vuol dire che si risparmi una vita: il sacerdote dą il passaporto all'anima per l'altro mondo, ma in questo il corpo č nelle mani del re: Dio per ragion di stato. Ecco dunque Caupolican ritto su 'l rogo, legato al palo; e i soldati spagnoli che appiccano il foco. Allora il Mendoza, inchinandosi a un ritratto di Filippo II che domina la scena, grida:
Seńor, mirad que os servimosTiniendo estes verdes campos
De sangre de cien mil Indios
Por daros un reyno estrańo.
«Signore, vedete come vi abbiamo servito tingendo questi verdi campi del sangue di centomila indiani per dare a voi un regno straniero.
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