Il re allora pensa bene di farlo, addormentato, ritornare nella prigione: dove Clotaldo allo svegliarsi lo ammonisce ch'egli ha soltanto sognato, e che la vita tutta č un sogno, ma che anche in sogno giova far bene. Intanto popolo e soldati, per non sostenere la signoria d'un moscovita, qual era Astolfo in cui stava per ricadere il regno, si sollevano, corrono alla prigione di Sigismondo, lo liberano, lo acclamano re e capitano. Egli, nel pensiero che anche questo sia un sogno, ondeggia da prima; poi si gitta nella rivolta a conquistarsi il regno. Ma la ricordanza di quel sogno di grandezza d'un giorno cosí rapidamente dileguatosi e gli ammonimenti di Clotaldo han fatto di Sigismondo un altr'uomo: sa, con potenti sforzi, signoreggiarsi: vuol fare il bene. A Clotaldo, che gli annunzia doversi per lealtŕ raccogliere all'esercito del re, lascia libero il passo: contiene la sua passione per una donna, e la unisce a quello che ella ama: vince il re suo padre, e rende nelle sue mani la spada vittoriosa.
Tale č il nňcciolo della commedia di Pietro Calderon rappresentata ultimamente dal signor Rossi. Martinez della Rosa, critico e poeta spagnolo di scuola francese, domanda che cosa si possa sperare da una composizione drammatica, il cui soggetto č un principe chiuso come fiera in una prigione in mezzo ai boschi. La questione, cosí, parmi posta male, e il biasimo che ne riesce, ingiusto: perché veramente il personaggio e l'azione passano per tre fasi diverse, la rabbia impotente del prigioniero, lo sfogo dell'uomo della natura appassionato, la trasformazione dell'eroe.
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