Non č da vero la semplicitŕ greca, e né pure quella folla di uomini e fatti che lo Shakspeare fa saltare tutti vivi e veri dalla sua testa per indirizzarli e moverli poi d'accordo al punto ch'ei vuole, come ragazzo un branco di animali domestici. Č un imbroglio che si accavalca a una favola semplice di per sé ed austera, come edera che opprime ed insulta col suo verde stridente il verde cupo e severo di antica quercia.
IV.
Fra i puri e bei tratti di poesia, che pur sono in questa commedia eroica, č il soliloquio di Sigismondo su 'l fine della seconda giornata. - «Siamo in un mondo cosí strano che il vivere in esso č sognare; e l'esperienza m'insegna che l'uomo che vive sogna quello che č fino allo svegliarsi. Il re sogna di essere re, e, vivendo in questa illusione, comanda, dispone, governa; e quell'applauso che precario riceve scrive nel vento e in cenere lo converte la morte! Grande sventura che ci abbia chi sforzisi d'aver un regno, quando sa che si deve svegliare nel sonno della morte! Sogna il ricco fra le sue ricchezze, che gli recano i grandi affanni; il povero che soffre, sogna la sua miseria e povertŕ; sogna chi comincia a vantaggiarsi di stato; sogna chi si affanna dietro a speranze; sogna chi altrui ingiuria ed offende; e in somma nel mondo tutti sognano quello che sono, benché nessuno se ne accorga. Io sogno di essere qui da queste catene aggravato, e sognai di essere in uno stato migliore. Che č mai la vita? una frenesia. Che č mai la vita? un'illusione, un'ombra, una favola; e piccolo č il piú gran bene che ci sia, perché tutta la vita č un sogno e i sogni sono un sogno.
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Shakspeare Sigismondo
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