III.
Ora qualche cosa del romanticismo bisognerà pur dire; ma, siccome gl'italiani si sono ostinati a non volerne udir discorrere e io sono un po' pregiudicato, lasciamo parlare prima un altro, un forestiere.
Uno di quei francesi che innanzi al 1870 andavano pazzi della Germania e della sua poesia, il sig. Eduardo Schure, in una Storia della canzone popolare tedesca, piena d'ingegno e di notizie e di belle traduzioni, ma forse troppo enfatica e poetica da crederle su la parola che la sia una storia, scrisse, sul romanticismo germanico e su le parti diverse che vi sostenne Heine, alcune pagine, che paiono una ballata romantica esse stesse. Le traduco qui, a rischio che la mia prosa rimanga scolorita al confronto.
«La poesia romantica tedesca era nel 1825 a' suoi piú be' giorni. Una folla di adoratori le si stringeva attorno, cavalieri non pochi sventolavano i suoi colori nell'arena della letteratura e della critica, i re le sorridevano perché essa gli incensava, i diplomatici la proteggevano perché essa faceva dimenticare al popolo il pensiero della libertá. Proprio allora entrò in lizza un poeta scintillante di spirito e d'immaginazione, che si annunziò per il suo cavaliere piú devoto e ardente. Ahimè, si accorse ben presto che le lance, anziché per i vezzi d'una bellezza fiorente, ei le rompeva per una vedova non tanto in carne, vivente su la contraddote. Rosso di collera, le gittò in faccia il guanto, e a tutti i suoi campioni assestò tali stoccate che i piú non se ne rialzarono, e la venerabile dama ne morí di dispetto.
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