Ma in un modo o nell'altro la libertà egli l'amò, amò la patria tedesca; e pur tra le sue infedeltà di artista quell'amore brilla su la fronte sua di poeta come una stella. Ora in Germania è di rigore e di moda giudicare severamente il Heine, della cui poesia non si vuol vedere che la parte negativa. Noi italiani possiamo essere piú giusti: è giusto a ogni modo che ascoltiamo anche lui. Nel suo scritto commemorativo su 'l Börne, che era meglio del resto non avesse scritto, vi sono pagine che bisogna rileggere prima di aprire l'Atta Troll. Eccone alcune:
«... Mi pesano su l'anima, come ombre umide, tutte quelle tristezze senza consolazione... Mi pioviggina per entro i sensi roventi come un'acqua ghiacciata, e il mio vivere altro non è che intirizzimento doloroso. O freddo inferno invernale dove viviamo dibattendo i denti! O morte, bianca fantasima di neve in mezzo a una nebbia infinita, che ne accenni tu con quello schernevole crollar della testa?
«Felici coloro che imputridiscono in pace nelle carceri della patria! perocché quelle carceri sono pure una patria con spranghe di ferro, e vi spira a traverso l'aria tedesca, e il custode, quando non è mutolo affatto, parla la lingua tedesca. Sono oggimai piú che sei lune da che niun suono tedesco mi ha percosso l'orecchio, e tutto ciò ch'io imagino e sogno si riveste faticosamente delle forme d'una lingua straniera. Dell'esilio del corpo voi avete per avventura un concetto, ma l'esilio dell'anima solo può rappresentarselo un poeta tedesco, il quale si trovi costretto a parlare a scriver francese tutto il giorno ed anche a sospirar francese la notte sul cuore della donna amata.
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