L'orso del Heine, come il veltro di Dante, muta parvenze e attitudini secondo spira il vento della fantasia e della passione: è il combattitore mangiafrancesi del '13, è il costituzionale del '18 col suo buon vecchio diritto, è il girondino della Giovine Allemagna, il giacobino della scuola di Börne, l'ammazzasette della sinistra hegeliana, il socialista poeta-tendenza, ma sempre sentimentale, sempre idealista, sempre germanico, sempre romantico, sempre orso. Heine nell'Atta Troll sembra aver fatta sua l'impresa di quel vecchio cavaliere spagnolo, Yo contra todos y todos contra yo: non mai fu piú in disaccordo con tutti e piú d'accordo col suo genio. E la caricatura riuscí tanto piú meravigliosa, non so qual meglio fra comica e fantastica, per questo, che fu condotta col piú serio artifizio della scuola romantica e con un appassionato sentimento della romantica poesia.
Lo afferma esso il poeta nelle Confessioni: «Dopo aver dati de' colpi a morte alla poesia romantica in Germania, a un tratto fui ripreso io stesso da un infinito amore del fiore azzurro nel paese de' sogni del romanticismo; e tolsi in mano la lira incantata, e cantai un canto nel quale mi abbandonai a tutte le meravigliose esagerazioni, a tutta l'ebbrezza del lume di luna, a tutta la strana magía di quella folle musa che io aveva un dí tanto amata. Io so che quello fu l'ultimo libero canto del vero romanticismo e che io sono l'ultimo suo poeta11.» E piú liberamente confessandosi al Varnhagen d'Ense (in una lettera del 3 gennaio'46): «Questa nuova generazione vuol godere e farsi il suo posto nel visibile: noi, i vecchi, c'inchinavamo umilmente dinnanzi l'invisibile, ma godevamo in soppiatto d'ombre, di baci, di profumi di fiori azzurri; noi rinunziavamo e piagnucolavamo, e non per tanto eravamo piú felici di questi duri gladiatori che vanno incontro con tanto orgoglio a un combattimento mortale.
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