Per la virtù specialmente di cotesto metro, che giovenilmente rimaneggiò, potè Heine alzarsi con tanta facilità e felicità dal racconto e dal discorso comico satirico alle volate liriche e fantastiche.
Il traduttore italiano (al fine parliamo un po' anche di lui) capí bene, che, non ostanti le apparenti somiglianze dell'Atta Troll con le due zoepiche italiane ricordate, non era il caso di tradurre le strofe di Heine in sestine e in ottave, o, peggio, in endecasillabi sciolti, come il buon Pietro Monti fece già del romanziero del Cid e non so chi, or son dieci anni, dell'Intermezzo del nostro poeta. Novantanove volte su cento il carattere di un'opera poetica sta nel metro; e già il Cesarotti scrisse: «I traduttori, volendo mettere in vista la difficoltà delle traduzioni, calcano unicamente sopra la diversità del linguaggio, ma non mostrano di sentire un'altra difficoltà, con cui è lor necessario di lottare, e che, per mio credere, è ancora più grande: voglio dire quella che nasce dalla diversità della versificazione. Egli è certo che i sentimenti, i pensieri e le espressioni prendono da sé stesse un tornio e una configurazione corrispondente alla versificazione rispettiva dei varii poeti. La brevità o la lunghezza del verso, la varietà delle flessioni, delle pose, delle cadenze, l'armonia che risulta naturalmente dal numero e quella che nasce dall'aggiustatezza delle consonanze, il diverso intralciamento e la distribuzione delle rime, ciascheduna di queste cose modifica i sentimenti, e comunica loro una bellezza propria e distinta da tutte le altre.
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