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      Nel giudizio comunemente recato intorno alle odi di Giuseppe Parini poco c'è da aggiungere o da togliere e non molto da correggere. Anche nella lirica l'abate milanese fu, per una parte, il maestro e duca di quella scuola neoclassica la quale fece un po' piú che comporre versi antichi su pensieri moderni; e, per un'altra parte, in certi tócchi che qua e là osò, netti, precisi e nervosi, accennò anche, oltre ai limiti di quella scuola, a una rappresentazione del vero piú immediata che non soglia trovarsi nella poesia italiana, specialmente lirica, dopo il secolo decimoquinto.
      Ma nulla dal nulla. Dall'elemento fantastico e affettivo d'un popolo, vivaio comune della poesia o spontanea o riflessa, è un continuo procedere di forme che si vanno organando secondo le attitudini della nazione negli ambienti delle età diverse; e, al mutar dell'ambiente, le deboli o troppo usate cadono a mano a mano formando il detrito storico, dal quale altre si svolgono e crescono, e le forti superstiti se ne giovano, fin che esse pure non perdano nel lungo attrito l'energia. Può quindi essere non inutile ricercare nelle odi del Parini ciò che resta del vecchio e ciò che è su'l cambiar colore, e ciò che spunta timido o già vigoreggia ardito: può esser utile seguire le tracce e i segni della trasformazione che il Parini, quando ebbe da vero il possesso e la conscienza della sua forza, fece nella poesia del tempo suo, e avvertire anche ai punti dove egli fu debole e incerto.
     
      Nelle poesie di Giuseppe Parini, segnatamente liriche, primi i coetanei accusarono un po' di stento e certa fra ruvidezza ed asprezza.


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Conversazioni critiche
di Giosuè Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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