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      Se non che forse il riscontro vicino troppo de' due ossitoni finali, massime quando sono non di vocali ma di consonanti tronche se specialmente nasali, offende un po' l'orecchio. Rileggiamo, a prova, le due piú belle strofe; la prima,
     
      Per che turbarmi l'anima,
      O d'oro e d'onor brame,
      Se del mio viver Atropo
      Presso è a troncar lo stame?
      E già per me si piegaSul remo il nocchier brun
      Colà donde si niegaChe piú ritorni alcun?
     
      e la piú celebre,
     
      Me non nato a percotereLe dure illustri porte
      Nudo accorrà ma liberoIl regno de la morte.
      No, ricchezza né onoreCon frode o con viltà
      Il secol venditoreMercar non mi vedrà!
     
      Questa va d'incanto. Quell'accento largo di vocale come rialza l'armonia e come afferma il sentimento! Men bene la prima: non avete che dire, ma sentite che, se quegli ossitoni nasali seguiteranno nella strofe appresso e poi in altre, finiranno con farvi l'effetto di quei dannati di Dante, che d'una parte e d'altra con grand'urli, Voltando pesi per forza di poppa, Percotevansi incontro e poscia pur lì si rivolgea ciascun. Il Manzoni infatti, a cui piaceva il Metastasio, non accolse quella combinazione nelle strofe sue settenarie: ma essa a ogni modo fu il primo passo verso l'armonia che dirò manzoniana. Il primo passo, ho detto, verso l'armonia: ché gli schemi tecnici delle future strofe manzoniane erano stati già trovati dal Frugoni. La strofe del Cinque maggio fu da prima introdotta nella lirica moderna dal buon Comante eginetico per il primo incruento sacrifizio celebrato nella cattedrale di Parma l'anno 1741 dal signor conte canonico Girolamo Baiardi.


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Conversazioni critiche
di Giosuè Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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