Sessantacinque anni corsero fra le due poesie; e in quel mezzo una rivoluzione avea scosse le basi dell'ordinamento sociale, e nelle malinconie e negli strazi delle conscienze che ne seguirono, un nuovo modo si rivelň di sentire la natura e di pensare la vita. E poi il Lamartine era l'unico maschio d'una famiglia di gentiluomini campagnoli, tirato su nel ritiro, con tutte le finezze d'un'educazione modestamente aristocratica, all'amore e alla gloria; e il povero abatino, figliuolo d'un setaiuolo di Bosisio, faceva il maestro per le case dei signori: tali differenze, in certe maniere di poesia, importano molto.
Né meno vorrei raffrontare le stanze del Parini alle descrizioni campestri condotte su l'esemplare di Virgilio e d'Orazio da poeti nostri del Cinquecento, dall'Alamanni, per esempio, e dal Tansillo. Gli artisti di quel gran secolo rimanevano, pur imitando, originali nella espressione; e in mezzo alle abitudini artificiose dell'imitazione si trovavano spesso, per una felice distrazione dell'educazion loro, il vero fra le mani, e lo rendevano con immediata purezza. Meno educati, certo sono sempre piú schietti e piú vivi dei settecentisti: ancor freschi della libertŕ, immuni dallo spagnolismo e dal gesuitismo, scrivevano una lingua non impoverita né guasta dal decoro accademico. Come i giocatori di pallone, per dar forte e alto, pigliavano la rincorsa dal trappolino dell'imitazione; ma picchiavan bene.
Il Tansillo comincia dunque imitando:
Oh troppo fortunati, se i lor beniConoscesser, color che si stan fôra
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