Tra colti poggi e valli e campi ameni!
Cui dà benigna terra d'ora in oraQuel che altrui fa bisogno, agevolmente;
Né suon di tromba i volti ivi scolora.
E, se non han gl'inchini della gente,
Né meno han chi li turba e chi gli scuoteDal riposo del corpo e della mente.
Oh felice colui che intender puoteLe cagion delle cose di natura
Che al piú di que' che vivon sono ignote,
E sotto il piè si mette ogni pauraDe' fati e della morte ch'è sí trista,
Né di volgo gli cal né d'altro ha cura!
Fin qui è Virgilio reso con ariostesca scioltezza. Ma ecco l'uomo vero del Cinquecento, con la sua coscienza d'italiano e di galantuomo:
Ma piú felice chi, del mondo vistaLa parte sua, non vi s'appoggia sovra,
Aitato dal saper ch'indi s'acquista,
Ma in villa ch'è sua tutta si ricovra,
E degli anni e dei dí c'ha speso indarnoA sé stesso ed a Dio parte ricovra!
Cosí potess'io tra Sebeto e Sarno
Menare ormai la vita che m'avanzaCon le ninfe del Tevere e dell'Arno
Dalle quai fei sí lunga lontananza,
E de' signor sgannato di qua giusoFondar nel re del cielo ogni speranza!
Preso l'abbrivio, séguita piano e soave:
Deh sarà mai, pria che giú cada il fusoDegli anni miei, che a piè d'una montagna
Mi stia tra cólti ed arbori rinchiuso,
E con la mia dolcissima compagna,
Qual Adamo al buon tempo in paradiso,
Mi goda l'umil tetto e la campagna,
Or seco all'ombra or sovra il prato assiso,
Or a diporto in questa e in quella parte,
Temprando ogni mia cura col suo viso?
E ponga in opra quel c'han posto in carteCato e Virgilio e Plinio e Columella
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