E gli altri che insegnâr sí nobil arte,
E di mia mano innesti e pianti e svellaLa spessa de' rampolli inutil prole
Che fan la madre lor venir men bella,
E con le care figlie e, se 'l ciel vuole,
Spero co' figli, a tavola m'assidaLa state ai luoghi freschi, il verno al sole?...
Ma, badate, non č un idillio fatto per fare: l'uomo che ha militato e navigato sotto Carlo V, il cortigiano disilluso dei viceré spagnoli, si risente:
Bocche mi paion di balene e d'orcheLe porte de' palagi e le colonne....
I pavimenti miei sien fiori ed erbe,
Rami i tetti, e negre elci i marmi bianchi,
E bótti l'arche ove il tesoro io serbe:
Né curi ire a palazzo o stare a' banchiE domandar che faccian Turchi o Galli,
S'arman di nuovo o se ambiduo son stanchi.
Non sia obbligato a suono di metalliGiorno e notte seguir piccol zendado,
Forbir arme e nutrir servi e cavalli.
E, qual si sia, contento del mio grado,
Non cerchi di chi scende o di chi poggia,
O che altri m'abbia in odio o gli sia a grado.
E quando i dí son freddi o versan pioggia,
Con la penna io, le femmine con l'ago,
Passiam quelle ore in cameretta o in loggia41.
Tali cose i settecentisti, con quella loro viterella e con quella linguetta, non potevano scriverle.
Ma sarŕ permesso raffrontare l'ode italiana del Settecento alle stanze d'un poeta francese del secolo innanzi, d'un poeta della scuola di Malherbe: siamo in famiglia, siamo alla lirica classica che ha la religione di Orazio.
Racan (1589-1670) di latino veramente non sapeva né men quello del credo, ma fu un valoroso luogotenente nella campagna dei gerundivi e dei particípi sotto il comando generale di Malherbe.
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