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      Riducendo le molte parole in una, a Cividale il sole mi è paruto piú splendente che in altro luogo, il cielo piú azzurro, le stelle piú luminose. Gli uomini, domandati del male dello stomaco, dicono che non lo conobbero mai, e si sputa di rado, se non quando si vuole assaggiare qualche buon vino. E vanne via, maninconia49.
     
      Conchiudendo: che rimane dell'ode del Parini dinanzi a questa prosa? Nulla, e peggio che nulla. Vorremo dire però che l'abate brianzolo non avesse il sentimento della natura? No, perché certi tócchi di altre odi e certi paesaggi, almeno un paesaggio, del Giorno, provano il contrario. Vorremo dire che G. G. Rousseau non aveva ancora spalancata la finestra per far respirare una boccata d'aria fresca alla gente del Settecento tappata nei salotti, e che il sentimento della natura mancava in generale agli scrittori di quella età? No, perché il Baretti e il Gozzi, mi pare, descrivevano alla brava e con un vigore di verità ignoto ai sentimentalisti della scuola del Rousseau che abbondarono poi anche in Italia. Diciamo piú tosto che la forma lirica accolta dal Parini non si prestava all'uopo, che egli stesso non era anche uscito fuori del tutto dalle consuetudini delle accademiche lucidazioni, e, piú d'altro, ch'egli non era il poeta da compiacersi e trovarsi bene della vita rustica o della libertà campestre; che la natura l'educazione i casi il contorno lo avevano fatto poeta di città e di società, poeta dei contrasti e delle antitesi civili e sociali. Per ciò l'ode, con la quale parrà troppa la nostra severità, letta in casa Imbonati, a un pranzo o ad una cena di Trasformati, fra i sorbetti, fu bella; oggi non ne riman viva che una strofe: tutta intera non è il manifesto della lirica pariniana, né può figurare tra i migliori esempi della poesia italiana moderna.


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Conversazioni critiche
di Giosuè Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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