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      Il popolo italiano, oltre che di natura č piú generalmente sobrio che non paia (ne chiedo perdono ai bolognesi e ai milanesi che oggi trionfano del Santo Natale), ama anche di star su le sue, su le grazie, su le gale; non ama abbandonarsi neanche in poesia, perché in vino veritas. Il popolo italiano oggigiorno fa e ode, quanti niun altro popolo mai, brindisi-discorsi, politici, scientifici, artistici, economici, industriali; e com'č naturalmente ed utilmente scettico, cosí egli sa bene che tutta quella chiacchiera, novantanove su cento, č per darsi la polvere negli occhi gli uni agli altri, per adularsi in faccia gli uni gli altri e farsi poi lo sgambetto, per imbrogliarsi gli uni gli altri; ed egli, artista consumato in machiavellismo, si gode alle sottigliezze con le quali e fra le quali svolgesi o avvolgesi l'imbroglio, e giudica da maestro i colpi dei toreadores della menzogna; gode, e giudica, superiormente, come Nicolň Machiavelli descriveva i modi tenuti dal duca Valentino per ammazzare Vitellozzo Vitelli e compagni. Ma il popolo italiano, né anche fra i tanti sonetti e capitoli e ballate e frottole su' beoni, dei secoli piú originali, non ha un vero canto popolare convivale o bacchico, vero, espansivo, cordiale.
      Nel secolo del Parini chi ne dič qualche saggio, imitando non male la galante spigliatezza delle chansons ŕ boire francesi, fu il Rolli, nato, per vero, di padre borgognone. Anche nelle sue canzonette, come nelle francesi, e piú che negli scolii greci, il vino s'accorda all'amore e la nota epicurea prevale.


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Conversazioni critiche
di Giosuč Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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