Quetate l'empio schiamazzo, o compagni, e rimanetevi col gomito appoggiato ai cuscini.
I rissanti invece di calmarsi si accordano contro il pacificatore. - Ah sí? Ma tu non hai bevuto. Un'anfora di falerno per il predicatore. - L'affare si parava male. Ma Orazio aveva lí accanto un greco, famoso delle glorie della sorella, un biondino sentimentale, un Cupieno perseguitatore delle bianche stole ma che poi si contentava anche delle serve (Xanthia foceese?), e pensň a divergere su lui l'attenzione e l'assalto e ad estinguere cosí nelle risa gli elementi della rissa. Séguito traducendo:
- Volete che anch'io prenda la mia parte di questo brusco falerno? Bene! Il fratello di Megilla d'Opunte dica onde partí lo strale la cui ferita lo fa morire di felicitŕ. Esita? Non beverň ad altra condizione. Qualunque sia la bellezza a cui Venere ti sottomise, la tua non č certo fiamma da vergognare: tu pecchi sempre di nobili amori. Or via, che che tu abbia, deponi il secreto in questo orecchio fedele.
Difficile trasportar in altra lingua, sia pur l'italiana, la suprema squisita eleganza d'ogni parola, e della collocazione e della disposizione e dell'atteggiamento delle formole, onde nel latino risalta a ogni tratto la finissima corbellatura della allungata lusingheria. Č impossibile, parmi, supporre in questi versi un'imitazione al solito dal greco. La subitaneitŕ e la vivace veritŕ dell'apparente disordine mostrano, parmi, che č il caso di un allegro episodio, d'una scena animata, colta lí per lí e tradotta in una breve odicina, ammirabile per movimento drammatico.
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Orazio Cupieno Xanthia Megilla Opunte Venere
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