E al tuo santo simulacro,
Cui gran folla urta di gente,
Giŕ mi prostro umilemente.
A proposito: č egli lecito supporre che l'adunanza dei Trasformati, ove il poeta lesse da prima questi versi, fosse una carnevalata, e la sala rappresentasse il Tempio dell'Impostura, e i poeti recitanti o leggenti figurassero da sacerdoti o da devoti e supplichevoli della dea? Saremmo nel costume della poesia academica d'uno o due secoli fa, e l'ode ne acquisterebbe un tanto di vivezza.
La quale ode, dopo l'entratura, si divide in due parti, ha due quasi intonazioni diverse: la prima [7-38] č dell'ipocrisia in universale, la seconda [49-84] č delle ipocrisie particolari: finisce con una chiusa [85-96] forse inutile, certo moralissima, ma un poco strascicata.
Nella prima parte il poeta invoca e saluta la Impostura, mente e anima del mondo.
Tu degli uomini maestraSola sei. Qualor tu dčtti
Ne la comoda palestraI dolcissimi precetti,
Tu il discorso volgi amicoAl monarca ed al mendíco.
Che disinvoltura! E, pur conservando il solenne movimento trocaico e l'ondeggiamento delle coppie a rime alterne, quanto č giŕ lontana questa intonazione dalla morbida e vuota sonoritŕ delle canzonette! Egli č che non son piú parole; son colpi di pensieri, come colpi di ala.
L'un per via piagato reggi,
E fai sí che in gridi straniSua miseria giganteggi;
Onde poi non culti paniA lui frutti la semenza
De la flebile eloquenza.
Tu dell'altro a lato al tronoCon la Iperbole ti posi;
E fra i turbini e fra il tuonoDe' gran titoli fastosi
Le vergogne a lui celate
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Trasformati Tempio Impostura Impostura Iperbole
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